Dallo scorso 1 gennaio per i Comuni non capoluogo di provincia, l’acquisizione di forniture e di servizi deve avvenire attraverso il ricorso alla Centrale unica di committenza (l’obbligo per le gare concernenti lavori pubblici è fissato per il 1 luglio 2015). Ma di cosa si tratta? E come impatteranno le Centrali uniche nella gestione delle gare ad evidenza pubblica? Cerchiamo di rispondere ai principali quesiti, attraverso tre risposte ai temi di maggiore rilevanza.
Disciplinate ancor prima dell’avvento riformatore del dl. 90/2014, poi convertito nella l. 114/2014, l’art. 3, comma 34, del d.lgs. 163/2006 definiva le centrali di committenza come delle amministrazioni aggiudicatrici che acquistano forniture o servizi destinate ad amministrazioni aggiudicatrici o altri enti aggiudicatori, o ancora che aggiudicano appalti pubblici o concludono accordi quadro di lavori, forniture o servizi destinati ad amministrazioni aggiudicatrici o altri enti aggiudicatori.
In seguito all’approvazione della nuova Direttiva Appalti 2014/24/UE, che il legislatore italiano sta cercando di recepire entro l’anno, la Centrale può altresì fornire servizi di committenza ausiliaria, e deve essere individuata in un recinto di potenziali soggetti quali “lo Stato, le autorità regionali o locali, gli organismi di diritto pubblico o le associazioni costituite da uno o più di tali autorità o da uno o più di tali organismi di diritto pubblico”.
Sintetico obiettivo delle Centrali di committenza è quello di accentrare la gestione delle gare ad evidenza pubblica, cercando di razionalizzare la spesa pubblica ed evitare sprechi di risorse che non apportano benefici per i cittadini. Attraverso le Centrali si cerca dunque di eliminare alcuni costi che erano precedentemente imputati alla frammentazione, tra tanti piccoli Comuni, della fase relativa all’acquisizione dei lavori, dei servizi e delle forniture.
Ora, sulla base delle modifiche intervenute con i già ricordati d.l. 66/2014 e l. 114/2014, l’obbligo di rivolgersi alla Centrale di committenza ricade non più solamente per i Comuni con popolazione non superiore ai 5.000 abitanti, quanto a tutti i Comuni non capoluogo di Provincia.
Stabilito quanto precede, giova ricordare che stando alla normativa vigente i Comuni non capoluogo di provincia possono procedere all’acquisizione dei lavori, beni e servizi nell’ambito delle Unioni dei comuni – ove esistenti – o, in alternativa, costituendo un apposito accordo consortile tra gli stessi Comuni, e avvalendosi dei competenti uffici delle Province, o ancora ricorrendo a un soggetto aggregatore o alle Province.
In aggiunta, i Comuni possono altresì acquisire beni e servizi mediante Consip SpA o altro soggetto aggregatore di riferimento. Se nel territorio vige l’obbligo di associazione obbligatoria, e l’Unione è già esistente, l’obbligo di costituzione della Centrale unica di committenza ricadrà dunque in capo all’Unione, cui graverà il compito di istituire un ufficio qualificato di committenza. Se invece l’Unione non è ancora sorta, l’onere di istituire la Centrale graverà sui singoli Comuni, che dovranno stipulare un accordo consortile per poter generare la struttura di riferimento.
L’eccezione riguarda i Comuni con popolazione superiore ai 10 mila abitanti, che possono invece procedere autonomamente agli acquisti di beni, servizi e lavori, purché di importo inferiore a 40mila euro.